domenica 14 febbraio 2010
Assalto al Centro
Sacchi di plastica si levano come gabbiani tra scogli d’asfalto, si gonfiano di vento e volteggiano sulle lamiere.Vitaliano li guarda salire in alto e poi cadere in picchiata tra il benzinaio e il baracchino di stigghiola.
Fissa il fumo bianco che s’alza dalla griglia di carbone e si spariglia in cielo, e ripete a mente le condizioni della promozione degli schermi LCD, dei videofonini e degli abbonamenti tv.
L’odore insistente delle stigghiola viene appena smorzato da quello acre del sugo che la madre sta preparando di là in cucina.
Dopo pranzo lo aspetta il lavoro, il terzo giorno del suo nuovo lavoro.
Vitaliano sorride dietro il vetro della finestra socchiusa, sorride di soddisfazione.
Pensa al suo nuovo lavoro ed è fiero di sé, di come sa dare ai clienti informazioni dettagliate con la sincerità di un amico, di come rispetta i superiori, anzi li stima senza ostentazione, e di quanto è rispettato dai colleghi.In strada, sotto il quinto piano del condominio di Brancaccio, i piccioni si avvicinano circospetti agli avanzi del baracchino di brace, e vespini e lapini s’incrociano rapidi. Vitaliano sorride e pensa al codice della cassa e ai ticket della mensa.
Tra qualche ora inizierà il turno pomeridiano del suo terzo giorno di lavoro, quello più importante, il giorno della promozione.
Al Centro di Roccella si aspettano centinaia di persone e Vitaliano è pervaso di un’autentica gioia.Non vive questa sensazione di pienezza e aderenza alla vita da quando aveva tredici anni e suonava Mozart in modo “esemplare”, così disse il suo maestro, al saggio di violino di fine anno. Quella volta la gioia che seguì agli applausi fu indimenticabile, non l’emozione del palco, ma la sensazione di quando il piccolo Vitaliano tornò al leggio per prendere gli spartiti e rivolse lo sguardo fiero alla platea. In quel momento sentì lo stomaco riempirsi di leggerezza, della consapevolezza di essere parte di un gruppo, parte integrante della classe e della scuola e della borgata. Consapevolezza che però durò poco, sostituita subito dal solito senso di alienazione e distanza dai suoi compagni e dai borgatari, gente arrogante, capace di spaccarsi la faccia per una taliata di troppo.E adesso, davanti alla plastica che piroetta in aria e al fumo di stigghiola che sembra salire dalle ciminiere del traghetto dello Stretto, Vitaliano è pervaso dalla stessa leggerezza del saggio di fine anno e gli pare di risentire le note del violino e allarga lo stesso sorriso sornione.
Ma la musica non ha pagato, nonostante l’orecchio assoluto, la tecnica impeccabile col violino, la disinvoltura alla chitarra e al basso. Anzi pagava troppo poco e quando voleva lei. Da anni Vitaliano ha lasciato il conservatorio, riservato a chi può studiare la musica, e ha provato a campare con la musica. Ci aveva provato anche a Roma, nell’orchestra del teatro dove lavorava la cugina. Ma anche lì i soldi erano pochi e arrivavano ogni tre mesi, mentre la padrona di casa non lasciava passare il tre di ogni mese senza sollecitare la mesata.
E così Caronte, il traghetto lurido e sbuffante dello Stretto, aveva attraversato ancora quello sfavillante braccio di mare, lo Scill’e Cariddi che pare oceano, e lo aveva riportato nella sua terra. E qui Vitaliano aveva iniziato a suonare con una banda alle processioni, con un’orchestra ai matrimoni, con un quintetto barocco in chiesa e con una band heavy metal alle feste dell’Unità, senza riuscire a racimolare i soldi per lasciare quell’odioso condominio di Brancaccio. Odioso non per colpa della madre o della sorella, ma odioso in quanto cubo di cemento scolorito nel mezzo della periferia più scolorita e cagnola della città, una borgata di straccivendoli, ambulanti e lavoratori socialmente utili, dove i palazzi inghiottono antichi castelli arabi e giardini di palme, e dove i più non hanno la quinta elementare ma almeno un cugino all’Ucciardone.E i ragazzini urlano in continuazione, masticando e sputando per terra, e i fratelli maggiori si guardano l’un l’altro come cannibali abulici davanti all’unica preda disponibile.“Ma il Centro di Roccella può cambiare le cose”, pensa Vitaliano alla finestra, giocherellando con la montatura degli occhiali, “il Centro porterà un po’ di civiltà e di benessere in questa terra disgraziata”. E si sente investito di una grande responsabilità perchè lui adesso è del Centro, è parte attiva di questa rivoluzione. Lavora al Centro di Roccella, travaglia per il cambiamento, la salvezza. “Magari un giorno ci vado pure a suonare, al Centro”.
“Vitaliano”, strilla la madre, “a mangiare!”. Il ragazzo inforca gli occhiali e giunge a grandi falcate in cucina. Si siede a tavola, divora tutto con appetito e commenta il telegiornale con la solita rabbia per le disgrazie del mondo, le notizie incomprensibili di politica: “Finalmente ricostruito il grande centro”, proclama con entusiasmo il giornalista, “rinasce l’Italia del miracolo economico”. Vitaliano sbuccia un’arancia, la mangia con calma, spicchio dopo spicchio, e parla alla sorella delle promozioni al centro di Roccella, dei videofonini in offerta e della possibilità di avere un mega sconto sui televisori HD, questo pomeriggio stesso, per i primi cento avventori che si presentano al suo banco. La sorella lo riempe di domande e curiosità a cui Vitaliano risponde con esuberante sicumera, il sorriso beato sulle labbra e gli occhi luccicanti dietro le lenti. In realtà a Vitaliano non importa niente dei televisori e della tecnologia, ma gli piace la precisione, la corrispondenza geometrica dei segni con le cose, questioni che ha imparato ad apprezzare quando studiava violino, questioni fondamentali per un’esecuzione esemplare.
Dopo il caffè, Vitaliano si accende una sigaretta ed entra nell’ascensore. Scende sul marciapiede infestato di sacchetti abbandonati dal vento e scatena il motorino per andare al nuovo lavoro. È il giorno della promozione e lui vuole essere pronto dietro il banco almeno mezz’ora prima dell’apertura delle danze. Percorre la strada di Brancaccio fino alla rotonda della zona industriale, quattro capannoni arrugginiti in cui Vitaliano non è mai riuscito a capire cosa si fabbrichi. Poi gira da dietro lo Sperone, le case popolari che in nulla sono diverse dalle altre tranne per il colore bianco sporco e per il fatto di essere tutte uguali, e si ritrova sulla strada nuova che porta al Centro.Da lontano sembra un villaggio marziano disceso su quella terra tra le montagne e il mare, con pareti di vetro trasparenti, torri di acciaio e neon viola, muri obliqui di cemento e pilastri di un metallo vagamente grigio. Questa vista, per Vitaliano, è ogni volta una sorpresa, un miraggio che si fa realtà.Varca la soglia del grande Centro di Roccella e attraversa l’immenso parcheggio che pare un lago o un vallo intorno al palazzo reale. Lega il motorino nel parcheggio riservato ai lavoratori del Centro, e sale saltellando le scale che lo portano al suo banco.Alle 15 in punto si apriranno le porte della sala promozioni. Sono le 14.45 e al banco di Vitaliano giungono già le prime urla di impazienza. Loredana arriva di corsa dal corridoio, strillando di fare presto perché già ci sono più di cento persone dietro la saracinesca. Vitaliano non si scompone, va rapido all’impianto stereo, toglie Jenny Gonzales dal lettore e mette il cd che ha portato per le grandi occasioni: i capolavori di Mozart, magari così si rilassano un po’ là fuori.Arrivano anche Franco e Peppe a gestire il banco e vengono chiamati due energumeni della sicurezza a incanalare il flusso di persone.Sono le 14.55 e le urla si fanno più minacciose, qualcuno abbozza cori da stadio mentre ragazzi con capellini dorati strattonano bambini argentati, sospinti da ragazze con cinturoni di pelle e borchie e trucchi viola alla Jenny Gonzales. Dietro questa prima fila di ultras, spingono i padri, le madri, gli zii e le zie: signori panciuti che incitano gli altri con urla disumane e signore con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca infuocata sempre aperta e petulante. La folla si fa rotulante come un fiume in piena, mandria impazzita in cui ognuno è rivale all’altro e cerca in tutti i modi di arrivare prima dell’altro e ha comunque un nemico comune: il banco della promozione, il forte da espugnare.La prima fila forza il blocco, alza la saracinesca di peso e si fionda sul banco. Vitaliano abbozza un sorriso, ma capisce subito che c’è poco da ridere, che deve dar loro quello che vogliono, e nel minor tempo possible.Franco e Peppe non riescono a placare l’orda che continua a ululare e ringhiare. In breve il banco è circondato come una mollica in uno stagno di pesci rossi e alle urla si aggiungono le offese, le minacce, le spinte.Vitaliano deve alzarsi in piedi sul bancone e brandisce un bastone per allontanare quegli assatanati, che pare un domatore di circo.Gli uomini della sicurezza alzano i manganelli e Loredana, cadaverica, continua a consegnare bollettini per il ritiro della promozione a quei mostri questuanti pronti ad aggredirla da un momento all’altro.Quando la ragazza dice con un filo di voce che sono finiti tutti i televisori, la bolgia si placa in un istante. Un silenzio incredulo e carico di odio scende sulla folla; ognuno amplifica la sua rabbia negli occhi del suo vicino e un mugugno collettivo si alza fino a diventare grido di battaglia, grido di strazio e di lotta ancestrale.È allora che Vitaliano viene preso alle spalle e gettato in mezzo alla scanna.
Si fa sera e la madre riceve una telefonata che la avvisa dell’incidente: Vitaliano è ricoverato, due costole fratturate e qualche graffio. La madre e la sorella si precipitano all’ospedale e trovano Vitaliano in una corsia su una barella fatiscente, la testa fasciata e la flebo. Il ragazzo ha una lesione al timpano, probabilmente perderà l’orecchio sinistro. Poco prima di Mezzanotte Vitaliano apre gli occhi, cerca gli occhiali con la mano e fa cadere un bicchiere di plastica. La madre si sveglia e lo bacia sulla fronte mentre lui scolla appena le labbra e sussurra che è stato suo l’errore, che non doveva, che ha sbagliato a dare Mozart in pasto a quelle bestie.
mercoledì 22 luglio 2009
I dialoghi del Professore: I Vigili Urbani, la turnazione e Santa Rosalia
Totò: Peppino hai sentito cosa è successo ieri?
Peppino: No, unni sacciu nienti, sugnu un pocu distrattu.
Totò: Ma come, tu che sei un vigile non lo sai, e io, che non lo sono, so più di te e dei vostri problemi? E, allora, sei all'oscuro di tutto, e non sai che la sfida Festino-Assemblee è stata un Trionfo per il Festino? E non solo per la nostra beneamata Santuzza.
Peppino: Ma chi mi sta ricennu, Prufissuri, un ci pozzu cridiri. Perciò i colleghi sinni ieru a travagghiari?
Totò: Proprio così, caro amico mio.
Peppino: Ma io un ci capisciu nienti,
Vui ca’ siti allittrato mi putiti spiegari ‘nzoccu successi?
Ma poi, ora ca’ mi ricordu, a Novembre passatu, sulu picchì avevanu a livari a turnazioni a 170 colleghi, a Cgil, a Cisl e a Uil ficiru un macellu, e ficiru satari a Maratona internazionali. E, ora, che a turnazioni 170 colleghi la perdunu veramenti, i Vigili chi fannu? Sinni vannu a travagghiari!
Mah... io sugnu ‘ngnuranti, ma mi pari ca c'è cocchiccosa ca nun funziona.
Totò: Caro Peppino, hai ragione in parte, e, adesso, se hai voglia di ascoltarmi, ti spiegherò perché.
Peppino: Sugnu tuttu aricchi: accuminciassi Prufissù.
Totò: E' proprio il caso di dire che nelle cose che succedono al Corpo di Polizia Municipale, in effetti, non c'è un grande interesse per i veri problemi dei lavoratori.
Peppino: Chista è proprio bella, se i lavoratori virunu ca i sindacati i pigghianu pu culu, chisti un si ‘ncazzanu?
Totò: Amico mio, qui sbagli. I lavoratori lo sanno bene che i sindacati fanno solo i loro interessi e che i lavoratori sono soltanto l'alibi per altri scopi.
Peppino: Pirmittitimi Prufissù, ma chista nun la capisciu.
Totò: Vedi, Peppino in queste rappresentazioni, che hanno molto di teatrale, ogni attore è consapevole del proprio ruolo, proprio, come succede nelle sceneggiature: gli attori principali una volta sono i buoni e un’altra volta sono i cattivi.
Peppino: U capivu, Professuri: l’attori principali sunnu i sindacalisti, mentri i cumparsi sunnu tutti i travagghiaturi.
Totò: Proprio così: in pratica non ci sono differenze sostanziali, gli attori veri lo fanno per denaro, mentre i sindacalisti lo fanno per qualcosa di simile, ad esempio: per acquisire potere, leadership e dimostrare la loro forza. Infatti, assistiamo a una lotta tra Organizzazioni sindacali, per l’affermazione del più forte, per potersi, così, sedere nella stessa tavola dei padroni. Come giustamente hai ricordato, a Novembre passato,
Peppino: Infatti ci caffuddammu, Prufissù.
Totò: Perfettamente, ma non hai mai saputo la vera ragione di quella “cafuddatina”.
Peppino: Professò, Vassia è sempri complicatu.
Totò: In quella occasione sotto la falsa rivendicazione dei diritti dei lavoratori si stava disputando una partita molto importante: Maratona-Assemblea. Proprio
Peppino: Annullari a Maratona.
Totò: Acuta osservazione Peppino. Ecco, mentre una parte di sindacato si prodigava per l’annullamento della Maratona, l’altra si prodigava invece per salvarla.
Peppino: Si, mi ricordu ca si rissi ca i Cobas vulevanu fari satari l’assemblea. Sta cosa mi fici incazzare assai. Però, ora successi a stessa cosa: mi pari ca’ i sindacati nun’annu propriu l’idee chiari. Qual’è a differenza ora rispettu allura.
Totò: La differenza sta proprio nella diversità delle realtà. Allora alcuni sindacalisti stavano perdendo terreno e considerazione, e avevano bisogno di dimostrare la propria forza, oggi gli stessi devono difendere il potere che nel frattempo hanno riacquistato; in pratica in presenza delle stesse identiche ragioni si intraprendono azioni diametralmente opposte.
Peppino: Allura, sinni futtunu di diritti ri lavoratori, e cercanu di difenniri u partuni.
Accussì fannu bedda fiura e fannu capiri ca sunnu forti. Ma chistu u fannu apertamenti senza pili ‘nna lingua e senza preoccuparisi di nenti.
Totò: Perché dici questo, amico mio.
Peppino: Pirchi, mi rissiru ca u 13 ri luglio ci fù delegazione trainanti …..
Totò: Trattante, Peppino, Trattante.
Peppino: Trainante …., Trattanti …. sempri a stessa perdita ri tempu è. Na sta riunioni proprio a Cisl dissi ca non era daccordu a fari manifestazioni ‘na st’iorna particolari….. eh !!! Botta ri Sali… allura a Maratona non era un iornu particolari? Allura, puru io rissi : … Bonu, accussì si ‘nzignanu ca chi diritti ri vigili nun si babbia.
Pinsavu ca stavamu lottannu veramenti pa turnazioni, invece, oggi, i stessi ca ficiru bonu a Novembri, fannu una cosa para para cuntraria.
Totò: Per questo ti dicevo all’inizio, che la lotta non è per i veri problemi dei poveri lavoratori, ma è una lotta fra sindacati per affermare la propria egemonia, per sedere accanto a chi comanda, per fregiarsi di avere un canale preferenziale nella gestione delle piccole e grandi cose. Tutti i sindacati, e dico tutti, giocano una partita molto importante per loro. E, le rivendicazioni salariali, contrattuali e altro, sono bazzecole.
Quando i sindacalisti sono veramente impegnati?
Solo quando devono trattare e studiare le strategie più idonee per capire cosa stanno facendo gli altri, per non perdere la considerazione da parte dei datori di lavoro, solo in quelle occasioni riescono a perdere la pazienza e a lottare con i denti anche per tutto l’arco della giornata.
Peppino: Veru è Professò, quannu mi trasfereru, un sindacalista, ri chiddi ‘mpurtanti, mi rissi – ora gli faremo vedere noi. Ancora aspettu. E quannu ci rissi - iamuci ‘nzemmula a parrari – iddu m’arrispunniu – appena mi libero dagli impegni lo faremo……. Però, a fini, mi rissi … - stai tranquillo……??? Professò e io tranquillu sugnu.
Totò: E’ così caro Peppino, bisogna farsene una ragione. Una cosa che invece non capisco è il fatto che i tuoi colleghi si comportano come tante marionette gestiti a proprio piacimento dai sindacalisti Pupari.
Così, facendo, non avranno mai speranza di cambiare le cose.
Così, lasceranno, sempre che siano gli altri ad essere artefici del loro destino.
E’ paradossale che proponete progetti di educazione alla legalità, con corsi nelle scuole per promuovere una cultura antimafia partendo giustamente dai nostri figli, e poi non avete il coraggio di cambiare il vostro ambiente.
Peppino: E no, Professò, stavota, permittitimi, ma è Lei ca non ha capito. I colleghi nun centranu nenti. Non sa pò pigghiari chi colleghi, pirchì sunnu travagghiaturi ca giornalmenti stannu a strittu cuntattu cu cu li cumanna. Mi voli diri sti poveri colleghi a cu si ponnu rivolgiri quannu sunnu na strata? E quannu annu bisognu di canciari turnu o di un iornu di riposu, o di aviri a licenza? Certu i colleghi, ca sunnu o Mosic, non sa passanu tantu bona, respirano sempre schifiarie, sunnu sempre a cummattiri cu na pocu di vastasi, se poi ci metti puri ca, si nun fannu chiddu ca ci ricinu di fari, si ponnu iri a chiudiri. I colleghi sunnu costretti a cumpurtarisi accussi. Costretti, no ca forza, ma chi richiesti di favuri – fammillu pi mia – lassannu intenniri ca se nun mu fai è una mancanza di rispettu. Nella nostra mentalità, e Lei Professò chistu l’avissi a sapiri megghiu di mia, a mancanza di rispettu è gravi. “sudditanza psicologica”
Totò: Perbacco, Peppino mi stupisci.
Peppino: No……. Ma……..pi virità u liggivu antura ‘nnò giurnali.
Totò: Stavolta hai proprio ragione, mi hai dato una vera lezione di vita, sul modo spicciolo e comune di vivere. In effetti il mondo gira in questa maniera e sino a quando non si verificherà una presa di coscienza seria, le cose andranno sempre in questa maniera. E’ puro spirito di sopravvivenza. Certo che i Sindacati non ne escono molto puliti da questi comportamenti. Ma a dire il vero, per quanto riguarda questi ultimi due avvenimenti, l’unica sigla coerente è stata
giovedì 9 luglio 2009
Aggiornamento Cenciaioli
Ieri notte, dopo alcuni disaccordi e riscritture del testo, all'1:00 è stata approvata all'unanimità la delibera per la "tutela del lavoro storico dei cenciaioli e del percorso di legalità che hanno intrapreso" come scrive la consigliera Nadia Spallitta. Ieri il consiglio si è svolto a porte chiuse, e ancora non abbiamo avuto il testo della delibera, quindi non sappiamo ancora esattamente cosa contiene. Adesso il Sindaco dovrà convocare Prefettura, Questura, ARRA, Palermo Ambiente, AMIA ecc credo per decidere chi deve fare la convenzione con l'APAS. Un altro passo è stato fatto, ma ancora non c'è niente di certo. Scusate il poco entusiasmo ma sono disgustata da ciò che ho sentito ieri. La nostra classe politica è da mandare a casa. Nonostante le apparenze l'interesse per la città non è affatto prioritario. |
Uno dei cenciaioli si è buttato dal balcone
Uno dei cenciaioli si è buttato dal balcone
Nella notte tra l’1 e 2 Luglio uno dei cenciaioli di Palermo, G. L., si è buttato dal balcone.
Si è buttato sulla sua lambretta piena di metalli, a braccia aperte.
In seguito alla caduta ha riportato uno schiacciamento della cassa toracica, un trauma cranico, la rottura della mandibola e di alcuni denti.
Ha trent'anni e tre figli, uno di pochi mesi.
I medici del Policlinico hanno detto che ha perso l'equilibrio psichico.
E' da quasi 6 mesi che i raccoglitori ambulanti di “ferro vecchio” non lavorano. Così come non lavora più l'Associazione APAS, che forniva a 400 famiglie ed attività commerciali il servizio gratuito di ritiro della raccolta differenziata a domicilio.
Non lavorano da quando nella provincia di Palermo è stata dichiarata l’emergenza rifiuti, a causa delle condizioni disastrose della discarica di Bellolampo.
Intanto sono pure cambiate le leggi sui rifiuti.
Sembra che il Prefetto abbia dato disposizioni alle forze dell’ordine di bloccare l’intera categoria, che fino ad allora aveva tolto dalle strade di Palermo centinaia di tonnellate di materiali riciclabili al mese, lavorando al confine tra la legalità e l’illegalità.
Questo mestiere, possiamo dire, esiste da sempre, se lo tramandano di generazione in generazione. Ed era anche un’ancora di salvezza sociale: spesso, infatti, questo era il primo lavoro che si andava a fare quando si usciva dal carcere.
Era illegale, perché i rifiuti sono “di proprietà del Comune”, quindi ‘sottrarre’ scale, reti, lavatrici rotte, cartoni e tutto ciò che può essere rivenduto dalle strade si configura come “furto” all’AMIA(!), anche se fa risparmiare ai cittadini Palermitani ben 140 € a tonnellata!
Ma hanno svolto questo lavoro sotto gli occhi di tutti: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili Urbani.
Questo mestiere storico rientrava tra gli Usi della città di Palermo.
I raccoglitori di metalli si erano anche, in un certo qual modo, regolarizzati. Dal 2004 tutti avevano provveduto ad aprirsi una partita IVA che li qualifica come “recuperatori di cascame e materiale ferroso”. 'Lo Stato' sapeva che facevano questo lavoro.
Poi gli avevano chiesto di alzare le sponde nei mezzi, e così hanno fatto.
Dalla fine di Gennaio sono iniziati i fermi, i sequestri dei mezzi e gli arresti.
E da allora sono iniziate anche le proteste, pacifiche, perché non potevano più lavorare.
Si sono pure costituiti in cooperativa, per poter stipulare una convenzione, a titolo gratuito (!), con il Comune e la Palermo Ambiente, ma ancora, dopo più di 5 mesi, non riescono a portare il pane a casa.
La casa di G. L. si trova a Bagheria. Lui è di Palermo e lavora a Palermo, ma ha la casa a Bagheria perché l'affitto è più basso.
La sua casa si trova al primo piano di una palazzina antica, coi tetti alti e il magazzino sotto. Si è arrampicato sulla ringhiera del balcone per buttarsi, da un'altezza corrispondente a un secondo piano.
Ora non è più in pericolo di vita, ma non dovrebbe assolutamente muoversi. Potrebbe avere qualche costola rotta, e muovendosi potrebbe bucare i polmoni. Invece cerca in continuazione di alzarsi dal letto per andare al presidio con i suoi colleghi a Palazzo delle Aquile.
Dopo essere stato alcuni giorni in terapia intensiva e in psichiatria e i medici lo hanno mandato a casa imbottito di calmanti.
Ai giornalisti ha dichiarato che fa questo lavoro da 20 anni e non sa fare altro. Che togliergli questo lavoro significa togliergli la vita. Sui giornali la notizia è spuntata (senza indagare troppo sulle cause), ma in TV è stata data solo una volta al TGS.
Hanno mostrato grande solidarietà il Sindaco di Palermo, il Sindaco di Bagheria e i Consiglieri comunali.
Oggi, lunedì 6 luglio, il Consiglio Comunale dovrebbe discutere il provvedimento con il quale, se approvato, i 'cenciaioli' potranno tornare a lavorare. Questo sarebbe risolutivo.
Finora si è tardato ad andare avanti con la convenzione in Consiglio Comunale perché a quanto pare sono 'spuntate' altre cooperative.
Intanto il consigliere Oliveri, l'associazione IBF e le chiese evangeliche hanno fatto la spesa a tre famiglie, le più disastrate. Così la situazione è stata tamponata, almeno per qualche giorno.
Dai problemi di sopravvivenza sono scaturiti anche sfratti, separazioni, divorzi e liti in famiglia perché alcune mogli non capiscono che la loro situazione non dipende dai mariti. Davanti al Palazzo un ragazzo urlava arrabbiato che suo figlio non lo calcola più, che sta sempre con suo suocero e forse vede il suocero come padre, perché a lui non lo vede mai, perché è "allo sciopero".
Adesso le loro sorti dipendono dalla decisione dei Consiglieri Comunali.
Confidiamo che facciano l'interesse della città di Palermo e dei Palermitani aiutando questi loro concittadini.
Associazione Riufiuti Zero Palermo
Rete Rifiuti Zero Sicilia
Coordinamento dei Comitati Siciliani
sabato 30 maggio 2009
SOCIETA' » QUI MAFIA » Rifiuti in Sicilia, cosche e politica: un affare di cinque miliardi di euro di Carlo Ruta
Con l’avvio delle nuove gare per gli inceneritori, viene rilanciato un affare di proporzioni enormi, destinato a influire notevolmente sugli assetti del potere siciliano nei prossimi decenni. Il quadro degli interessi in causa. Le concertazioni fra Palermo e Roma. L’ipoteca della mafia
L’accelerazione impressa dalle sedi regionali nella partita dei rifiuti è sintomatica. È arrivata per certi versi imprevista, dopo anni di gioco apparentemente fermo, a seguito della decisione assunta nel 2006 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di annullare le aggiudicazioni dei quattro mega inceneritori, avvenute nel 2003. Si è cercato di prendere tempo, per rimettere ordine nell’affare, che ha visto in campo cordate economiche di spessore, eterogenee ma bene amalgamate. Si è interloquito con le società interessate per concordare il rimborso dei danni, stabiliti in ultimo nella cifra, iperbolica, di 200 milioni di euro. Adesso è arrivato l’annuncio delle nuove gare, mosse paradossalmente dagli alti burocrati che hanno organizzato le precedenti: dai medesimi quindi che sono stati censurati dalla UE per le irregolarità rilevate nella vicenda. Come è nelle consuetudini, esistono ipoteche, parole date, assetti da cui non è agevole prescindere. Si registra comunque un aggiornamento, non da poco: gli inceneritori da realizzare saranno tre, a Bellolampo, Augusta e Campofranco. Si è deciso quindi di rinunciare al quarto, che sarebbe dovuto sorgere a Paternò, in area etnea. Le responsabilità sono state fatte ricadere sulla compagine aggiudicataria Sicil Power, che secondo l’avvocato Felice Crosta, presidente dell’Arra, avrebbe indugiato troppo dinanzi alle richieste della parte pubblica. In realtà tutto lascia ritenere che si sia trattato di un primo rendiconto, nell’intimo della maggioranza e delle aree economiche di riferimento, mentre si opera per disincentivare la protesta che ha percorso l’isola dagli inizi del decennio.
Si è fatto il possibile, evidentemente, per rispettare i termini imposti dalla Ue, perché non si perdessero i contributi, per diverse centinaia di milioni di euro, che la medesima ha destinato al piano rifiuti dell’isola. In quanto sta avvenendo si scorge nondimeno un ulteriore tempismo, che richiede una definizione. Tutto riparte dopo l’anno zero dell’emergenza di Napoli, a margine quindi di una rivolta sedata, ma probabilmente solo differita, che ha permesso di saggiare comunque un preciso modello di democrazia autoritaria, sostenuto da leggi ad hoc e da un particolare piglio sul terreno, tipicamente militare. Tutto riparte altresì quando l’allarme rifiuti è già al rosso non solo in Sicilia ma in numerose aree della penisola: quando s’impone quindi una risposta conclusiva, a livello generale, che, come nel caso di Napoli, si possa spendere dalla prospettiva del consenso. In tali sequenze si possono ravvisare allora delle logiche, che comunque vanno poste in relazione con alcuni dati di fatto, ma soprattutto con una serie di numeri.
In Italia funzionano 52 inceneritori, che trattano ogni anno circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti: il 15 per cento di quelli complessivi. In Sicilia ne sorgeranno appunto tre, che, come previsto nei bandi di gara del 2003 e in quelli odierni, fatto salvo ovviamente l’impianto di Paternò, cui si è rinunciato, saranno capaci di trattare 1,86 milioni di tonnellate di rifiuti, pari quindi a quasi la metà di quelli che vengono inceneriti lungo tutta la penisola. In particolare: l’impianto di Bellolampo avrà una capacità di lavorazione di 780 mila tonnellate di rifiuti annui; quello di Campofranco, di 680 mila; quello di Augusta, di 400 mila. Si tratta evidentemente di numeri significativi. I tre inceneritori siciliani risulteranno infatti fra i più grandi dell’intera Europa, insieme con quello di Brescia, che tratta 750 mila tonnellate di rifiuti, e con quello di Rotterdam, che ne lavora 700 mila. I conti tuttavia non tornano, tanto più se si considera che i rifiuti siciliani da termovalorizzare, al netto cioè di quelli da riciclare attraverso la raccolta differenziata e altro, non dovrebbero superare, secondo le stime ottimali, le 600 mila tonnellate. È beninteso nell’interesse delle società aggiudicatarie far lavorare gli impianti il più possibile. Ma a redigere i bandi di gara è stato e rimane un soggetto pubblico, tenuto al rispetto dell’interesse generale, delle leggi italiane, delle direttive europee, e che, comunque, non può prescindere, oggi, da taluni orientamenti del governo nazionale.
In sostanza, i numeri bastano a dire che già nel 2003, quando il governo Berlusconi poteva godere dell’osservanza stretta di Salvatore Cuffaro, presidente della giunta regionale, si aveva un’idea composita dei mega impianti che erano stati studiati per la Sicilia. E se non fosse intervenuta la Ue, quando Romano Prodi aveva riguadagnato il governo, l’operazione rifiuti, nei modi in cui era stata congegnata, sarebbe oggi alla svolta conclusiva, a dispetto delle problematiche ambientali e dell’interesse delle popolazioni. Con l’avvento dell’autonomista Raffaele Lombardo il gioco si è fatto più mosso. Le cronache vanno registrando sussulti di un qualche rilievo nel seno stesso della maggioranza. Ben si comprende tuttavia che se ieri l’affare accendeva motivazioni forti, oggi diventa imprescindibile, sullo sfondo di un potere politico che, dopo Napoli appunto, sempre più va lanciandosi in politiche che per decenni la comune sensibilità aveva reso impraticabili. Il proposito delle centrali nucleari costituisce del resto l’emblema di un modo d’essere.
Esistono in realtà le premesse perché la linea dei termovalorizzatori, a partire dalla Campania, dove sono in costruzione quattro impianti, passi con ampiezza, a dispetto delle restrizioni sancite in sede comunitaria. In particolare, tutto è stato fatto, in un anno di governo, perché l’affare risulti allettante. Se il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, a seguito di una procedura d’infrazione dell’Unione Europea, aveva annullato infatti il “Cip6″, nel quadro dei contributi concessi alla produzione di energie rinnovabili, il ripristino e la maggiorazione del medesimo, nei mesi scorsi, offre alle imprese del campo ulteriori sicurezze. In aggiunta, con la finanziaria 2009, tale contributo viene esteso a tutti gli impianti autorizzati, inclusi quelli che indugiano ancora sulla carta.
In tale quadro, l’affare siciliano insiste a recare comunque caratteri distinti. Alcuni dati recenti della Campania, epicentro dell’emergenza italiana, lo comprovano. Gl’inceneritori che stanno sorgendo ad Acerra, Napoli, Salerno e Santa Maria La Fossa, potranno trattare, insieme, rifiuti per un massimo annuo di un milione e 200 mila tonnellate. I tre siciliani, come si diceva, potranno lavorarne poco meno di due milioni. Questo significa allora che l’isola è destinata a far fronte alle emergenze che sempre più si paventano in altre aree del paese? Alla luce di tutto, propositi del genere sono più che supponibili. Se tutto andrà in porto, non potranno mancare, in ogni caso, le occasioni e le ragioni per far lavorare gli inceneritori a pieno regime. Sulla base di logiche che non hanno alcun riscontro in altri paesi del mondo, si prevede infatti che possano essere trattati nell’isola fino all’85 per cento dei rifiuti siciliani, con esiti ovvi. A fronte dei progressi tecnologici, di cui pure si prende atto, la nocività dei termovalorizzatori viene riconosciuta a tutti i livelli, a partire dalla Ue, che suggerisce impianti di dimensioni piccole e medie, tanto più in prossimità degli abitati. Viene ritenuto esemplare in tal senso quello di Vienna, allocato nel quartiere periferico di Spittelau, che può trattare fino a 250 mila tonnellate di rifiuti. Sono ipotizzabili allora i danni che potranno derivare dagli inceneritori siciliani: da quello di Campofranco che, tre volte più grande di quello viennese, dovrebbe sorgere ad appena un chilometro dall’abitato, a quello di Augusta che, uguale per dimensioni all’impianto di Parigi, non potrà che aggravare, come denunciano da anni le popolazioni, lo stato di un’area già fortemente colpita dalle scorie petrolchimiche. Ma tutto questo rimane ininfluente.
Il secondo tempo della partita siciliana significa ovviamente tante cose. Dalla prospettiva propriamente politica, è in gioco il potere. Sul terreno dei rifiuti, oltre che delle risorse idriche e delle energie, andranno facendosi infatti gli assetti regionali dei prossimi decenni. L’affare è destinato altresì a pesare sul contratto che va ridefinendosi fra Palermo e Roma, fra l’interesse autonomistico in versione Lombardo e quello di un potere centrale che intende mettere mano alla Costituzione come mai in passato. La presenza insistente del presidente regionale presso le sedi governative, danno peraltro conto di affinità sostanziali, di una interlocuzione produttiva. È comunque sul piano degli interessi materiali che si condensa maggiormente il senso dell’affare. La posta in palio rimane senza precedenti: circa 5 miliardi di euro in un ventennio, fra fondi governativi e comunitari. In via ufficiale, ovviamente, ogni decisione è aperta. Ma nei fatti, è realmente così? È possibile che si prescinda del tutto dai solchi tracciati dalle gare del 2003?
Sin dagli esordi, la storia ha presentato un profilo mosso. Come era prevedibile, è sceso in campo il top dell’industria italiana dell’energia. Senza difficoltà gli appalti degli inceneritori di Bellolampo, Campofranco e Augusta sono andati infatti a tre gruppi d’imprese, rispettivamente Pea, Platani e Tifeo, guidati da società del gruppo Falck. Nel secondo si è inserita altresì, con una quota di riguardo, Enel Produzione. E la cosa darebbe poco da riflettere se non fosse per il piglio particolare con cui tale società veniva amministrata, allora, da Antonino Craparotta, destinato a finire in disgrazia per l’emergere di una storia di capitali extracontabili, alla volta di paesi arabi. Ancora senza alcun ostacolo, come da consuetudine, la quarta aggiudicazione, per l’impianto di Paternò, è andata a Sicil Power, un raggruppamento di diversa caratura, guidato da Waste Italia: quello che adesso, significativamente, con la rinuncia all’inceneritore etneo, sembra essere finito fuori gioco. Sono comunque altre presenze, discrete e nondimeno importanti, a rivelare i toni della vicenda.
Il posizionamento rapido della famiglia Pisante, presente nelle cronache giudiziarie sin dai tempi di “Mani pulite”, e del gruppo Gulino di Enna nelle quattro compagini aggiudicatarie, attraverso la Emit e l’Altecoen, è al riguardo paradigmatico. Come tale è stato percepito del resto, sin dai primi tempi, da alcune procure, che hanno lanciato l’allarme inceneritori, e dalla stessa Corte dei Conti siciliana, intervenuta sul caso con perentorietà. A gare concluse, sono emersi, come è noto, degli inconvenienti, che hanno costretto l’imprenditore ennese, reduce con i Pisante della vicenda di MessinAmbiente, finita in scandalo, a farsi da parte, con la cessione di quote che gli hanno fruttato diversi milioni di euro. I termini della questione rimangono però intatti. Si è aperta una contrattazione. Interessi di varia portata sono diventati compatibili. È stato tenuto debitamente conto delle tradizioni. Il gruppo pugliese infine, senza alcun pregiudizio, è rimasto in gioco. Tutto questo costituisce però solo un aspetto della storia. Si sono avuti infatti ingressi ancor più discreti, per certi versi invisibili, al confine comunque fra l’economia e la politica. È il caso della Pianimpianti: nota società di Milano amministrata dal calabrese Roberto Mercuri.
Attiva in numerose aree della penisola e all’estero nell’impiantistica per l’ambiente, tale impresa ha potuto godere di un inserimento strategico nel sistema degli appalti calabresi: in quelli dei depuratori in particolare, che hanno mosso circa 800 milioni di euro. Manifesta altresì dei punti di contatto oggettivi con l’Udc, essendone stato vice presidente l’ex parlamentare parmigiano Franco Bonferroni, amico di Pier Ferdinando Casini, ma soprattutto legatissimo a Lorenzo Cesa, attuale segretario nazionale del partito. Per tali ragioni, ritenuta cardinale negli intrecci fra politica e affari in Italia, è finita al centro di indagini giudiziarie complesse, condotte dal sostituto procuratore di Potenza Henry John Woodcock e, soprattutto, da Luigi De Magistris. Nell’atto di accusa del sostituto di Catanzaro vengono passati in rassegna fatti specifici, alcuni di non poco conto: dal sequestro di 3,8 milioni di euro al fratello e al padre di Roberto Mercuri su un treno diretto in Lussemburgo, al versamento di 370 mila euro che la Pianimpianti avrebbe fatto alla Global Media, ritenuta, attraverso Cesa, il polmone finanziario dell’Udc. Un teste, riferendosi agli appalti dei depuratori in senso lato, ha detto inoltre del sistema in uso delle tangenti, stabilite nella misura dal 3 al 7 per cento, equamente divise fra la Calabria e Roma. In conclusione, l’accusa ha presentato la società di Mercuri come la “cassaforte” di una associazione finalizzata all’illecito. Nel registro degli indagati sono perciò finiti numerosi politici, fra cui il segretario nazionale dell’Udc e, del medesimo partito, l’ex sottosegretario delle attività produttive Giuseppe Galati.
Ma cosa c’entra tutto questo con gli inceneritori in Sicilia? In apparenza nulla. Pianimpianti, nei raggruppamenti guidati dal gruppo Falk, reca una presenza del tutto simbolica, con quote dello 0,1 per cento. Nell’affare ha guadagnato in realtà un rilievo sostanziale per quanto è avvenuto, in via assolutamente privata, dopo le aggiudicazioni del 2003. Le società Pea, Platani e Tifeo, l’1 luglio 2005 hanno commissionato infatti proprio all’impresa di Mercuri, in associazione con la Lurgi di Francoforte, la fornitura, chiavi in mano, dei tre inceneritori, per un importo complessivo di mezzo miliardo di euro, che costituisce, a conti fatti, la fetta più grossa, più immediata, quindi più tangibile, dell’intera posta in palio. È il caso di sottolineare in ultimo che pure il sodalizio Pianimpianti-Lurgi è connotato da un iter mosso, antecedente e successivo alla firma dei contratti con Actelios-Elettroambiente. Le due società sono finite sotto inchiesta nel 2005 per un giro di tangenti connesse alla costruzione dei due termovalorizzatori di Colleferro. Compaiono altresì nell’inchiesta Cash cow, ancora in corso, che nella medesima area laziale ha coinvolto, fra gli altri, decine di politici.
A questo punto, dal momento che sono state disposte nuove gare, si tratta di capire cosa potrà avvenire delle intese sottoscritte a partire dal 2003. Di certo, le società aggiudicatarie hanno guadagnato una posizione favorevole. Da titolari dei cantieri, hanno ripreso a beneficiare infatti del “Cip6″, malgrado il blocco di ogni attività dal 2007. Otterranno infine il mega risarcimento che reclamavano, di 200 milioni di euro appunto, pur avendo effettuato nei tre siti lavori esigui, solo di recinzione e movimento terra. Dopo la firma dell’accordo, regna quindi un curioso ottimismo. Prova ne è che i titoli Falck hanno avuto in Borsa rialzi del tutto anomali, lontanissimi dai trend dell’attuale recessione. Ma quali giochi vanno facendosi? La cifra della penale, che evoca un calcolo complesso, di certo costituirà un forte deterrente alla partecipazione di nuove compagini. Nel caso in cui la gara dovesse andare a vuoto, l’affidamento diretto agli attuali concessionari, a trattativa privata, potrebbe essere quindi un esito “inevitabile”. Ed è la stessa Falck a dare conto di intese in tal senso con l’Agenzia regionale, nella relazione semestrale del giugno 2008. Per motivi di opportunità potrebbe prevalere tuttavia una seconda soluzione: il ritorno in gara, direttamente o in forma mimetica, delle imprese già aggiudicatarie, che finirebbero per pagare a sé stesse la penale, per il ripristino dei patti. In ambedue i casi, come è evidente, risulterebbe eluso il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue.
domenica 24 maggio 2009

INVITA
ALL'INCONTRO CON MEDICI ED ESPERTI I.S.D.E.
RELATORI:
E. BURGIO - pediatra - VICE PRESIDENTE NAZIONALE COMITATO SCIENTIFICO
G. GENCHI - chimico - DIRIGENTE ASSESSORATO AMBIENTE TERRITORIO, SICILIA
G. FRANCO - pediatra - PRIMARIO PEDIATRIA OSPEDALE DI AUGUSTA
L. SOLARINO - chimico - DOCENTE DI CHIMICA C/O UNIVERSITA' DI CATANIA PRESIDENTE ASSOCIAZIONE " DECONTAMINAZIONE SICILIA "
tema:
"SALUTE-INQUINAMENTO AMBIENTALE: QUALE RELAZIONE?"
MARTEDI' 26 MAGGIO 2009 - ORE 16.30AUDITORIUM 1° CIRCOLO DIDATTICO " SANTE GIUFFRIDA " - VIA ALCARA LI FUSI - ADRANO
venerdì 10 aprile 2009
La porta aperta.

martedì 17 marzo 2009
Il dono di darsi.
La povertà a cui assistiamo inermi è l’aridità di valori e di sentimenti buoni. Non c’è nessuna ragione al mondo per accettare passivamente che questo stato di cose possa condizionare la nostra esistenza a tal punto da inaridire anche chi vorrebbe donarsi. Bisogna guardare oltre il muro e se non ci riusciamo o ci viene difficile farlo, non demoralizziamoci cerchiamo qualcosa che ci possa aiutare a superare l’ostacolo. L’aiuto non cerchiamolo dagli altri, l’aiuto siamo noi stessi. Cerchiamo dentro di noi la parte buona, la parte che molti soffocano, lasciamo uscire fragorosamente la forza dell’amore che alloggia in ognuno di noi. Non è vero che ci sono persone cattive o insensibili, basta solo avere la giusta tenacia per tirare fuori il più nobile dei sentimenti umani.
Il dono del darsi presuppone la conoscenza di se, una libertà interiore e l’unità profonda dell’Io.
Per donarsi occorre farlo in tutta la sua interezza, senza badare a spese o vantaggi, con una certa sana incoscienza.
Per far questo dobbiamo regalarci qualcosa che abbiamo perso; il tempo. Per darsi occorre tempo. Tempo che deve essere inevitabilmente svuotato dall’efficientismo che lo vuole sempre carico e produttivo per riportarlo alla pienezza e alla densità primordiale. Quindi tempo per riflettere, per incontrarsi, per mettersi a confronto, per il totale rispetto delle concezioni diverse e diversificate.
Donarsi significa crescere personalmente, elevarsi verso l’infinito, trasformare radicalmente il proprio cuore.
Oggi è più difficile donarsi rispetto al passato. Viviamo all’interno di una centrifuga che gira vorticosamente e impasta tutto e tutti, appiattisce, smussa e compatta, ci imbruttisce a tal punto che non ricordiamo nemmeno come vorremmo in effetti vivere. Non siamo liberi di scegliere, non abbiamo tempo per farlo.
Non c’è tempo per guardare negli occhi l’altra persona, non c’è tempo per fermarsi e saper ascoltare.
Cosa siamo diventati.
La vita ci scorre accanto velocissima e non ce ne accorgiamo. Perdiamo giorno dopo giorno occasioni irripetibili, momenti che domani rimpiangeremo. Quante volte avremmo voluto fare una semplice carezza, ma il tempo non ce l’ha permesso. Bisogna scendere da questa folle corsa e assaporare lentamente la pastosità dell’amore verso gli altri e verso la vita stessa.
Per fare questo bisogna osare, bisogna avere il coraggio di guardare tutto da un’angolazione diversa, un’angolazione inizialmente scomoda che alla fine ci fortificherà.
L’amore non si chiede, ma semplicemente si da.