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giovedì 11 settembre 2008

E POI CI ACCOMUNANO AI COMUNALI. (riflessione di un vigile urbano)

L'assoluto silenzio, il tepore corporeo, la rilassatezza del corpo e dello spirito: il buio.
Il suono fastidioso di una sveglia.
Ecco, che comincia un'altra giornata: ore 05.30.
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.
Come un ladro infilarsi le ciabatte e trascinarsi in bagno, con cura per non disturbare chi ancora dorme.
Vestirsi, prepararsi la borsa di lavoro e via.
Oddio un contrattempo.
Come faccio ad arrivare in autoparco all'interno della tolleranza di 15 minuti?
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.
Un rapido sguardo all'ordine di servizio e lo smog ci attende con il suo caloroso abbraccio avvolgente.
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.
Acqua, vento, sole, caldo, freddo, sabato, domenica, feste, sempre lì ad affrontare il fiume di lamiera che scorre lento, inesauribile e inarrestabile. Ma era proprio questo quello che volevo fare, da grande?
Ma si, in fondo sono i primi tempi, la cosiddetta gavetta, poi cambierà.
"Povero illuso, passerà tanto di quel tempo che non ti farai più la stessa domanda."
"Ti abituerai o, meglio, ti faranno abituare."
Sono allo stremo delle forze, mi brucia il naso, ho le gambe pesanti , quasi quasi mi seggo un attimo . . . No! Non posso!
Ho un atteggiamento formale da rispettare perché mi guardano tutti. Cittadini e sovraordinati.
Che bello, un Regolamento tutto per Noi.
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.
Ma cosa vuoi che sia, è un lavoro come tutti gli altri come quello di un qualunque impiegato comunale. Il tuo carico di lavoro, la tua bella programmazione e . . . mi viene quasi da piangere!
Siamo attori del teatro dell'improvvisazione ogni giorno un copione non scritto, l'incertezza, la non staticità degli eventi.
Bello e affascinante, ma alla lunga stancante e logorante.
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.
Per fortuna che è finita la giornata.
Una cosa è certa, come sempre ho accresciuto la quantità di veleni ed inquinanti all'interno del mio corpo.
L'immagine riflessa del mio corpo non corrisponde al mio, essa raffigura un rapido invecchiamento non voluto.
E lungo la rampa, divise in movimento con dentro uomini e donne mortificate da andamenti lenti e compassati, da fazzoletti anneriti, dalla rassegnazione che ci cammina accanto.
Grigio è il colore che riesco a scorgere, grigio è il colore delle mie scarpe. Proprio in cima alla rampa vengo attratto da una luce.
Mi volto e una macchina come tante altre entra in autoparco.
Lucida, nuova, pulita con dentro uomini freschi, asciutti, sorridenti e multicolori, tranne uno: Il grigio.
Oddio i Dirigenti!
Ma allora è vero che non siamo abbandonati.
Voglio sentire, ho tanta voglia di entusiasmarmi.
Bla, bla, bla, bla, bla e ancora bla.
Qualcuno mi bussa alla schiena e mi dice: su, si è fatto tardi, andiamo a casa.
E' la rassegnazione che mi cinge le spalle e con lei lentamente mi allontano.
Chissà se un giorno troverò il coraggio di colorarmi almeno l’anima.
E poi ci accomunano agli impiegati comunali.


(Lo spunto per questa riflessione mi è venuta in mente un sera quando uscendo dall'autoparco della Polizia Municipale ho visto la figura di una collega che con andamento stanco si avvicinava alla sua autovettura per fare rientro a casa. Ebbene l'aspetto quasi claudicante a certificare la fine di una giornata pregna di stress e di fatica mi faceva vedere oltre. A volte anche chi ti sta vicino non riesce a capire quanta sofferenza ci sia nell'affrontare una giornata di lavoro, così come la vive chi lavora in strada. Soltanto chi prova sulla propria pelle si rende conto. Ho sciupato troppo tempo a non vedere, ma sono fortunato a vivere, anch'io, queste esperienze da ormai 4 anni. Con questo mio scritto, probabilmente, non desterò le coscenze, ma posso giurare che mi impegnerò con tutte le mie forze, affinchè le condizioni lavorative possano essere migliorate.)
CiccioSpena (RSU del Cumune di Palermo)

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