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martedì 9 settembre 2008

L'ETICA DI UN SINDACALISTA. (Viaggio nel mondo sindacale) a cura di CiccioSpena

Sindacalista: seguace, sostenitore del sindacalismo – membro, dirigente delle organizzazioni sindacali.


Sindacalismo: il complesso di dottrine e di movimenti che mirano, mediante l'associazione dei lavoratori nei sindacati, ad ottenere per essi migliori condizioni di vita e a garantirne gli interessi economici.


Ma di chi?


Ho voluto cominciare proprio dalle definizioni indicate nel dizionario della lingua italiana per poi addentrarmi nell’argomento, passando prima attraverso una analisi generalizzata a livello nazionale per poi scendere alle realtà aziendali. Le origini del sindacato, nato con lo scopo di tutelare i diritti dei lavoratori, sono piene di onore e gloria. Purtroppo, lo spirito originario che ha dato luogo alla loro fondazione è ben lontano da quello appena detto. Eppure, i lavoratori, sono la classe che loro si sono prefissati di difendere. I lavoratori sono i motivi per i quali essi esistono, che dovrebbero essere sovrani ed invece sono sovrastati. Alle origini i valori erano veri ma, con il passare degli anni e le varie trasformazioni sociali e politiche, i sindacati, rendendosi conto della propria forza contrattuale, sociale, economica e politica, perdono di vista i principi iniziali e cercano di sfruttare a proprio favore tale potere. Ma, per giustificare queste affermazioni, vi prego di seguirmi in questo percorso. Tutti i sindacati NON HANNO, per legge, l’obbligo di redigere un bilancio. Questo significa che i soldi che entrano ed escono dalle loro casse non saranno mai portate a conoscenza dei cittadini. Fatturati miliardari e bilanci segreti. Forse non tutti sanno che i sindacati hanno migliaia di dipendenti. Che con il Governo centrale quotidianamente tratta questioni di potere. Alle spalle dei sindacati vivono società ed enti da essi controllati ed insieme muovono un giro d’affari enorme, che supera i 1300 miliardi. Nelle casse di questi circolano ogni anno circa 400 miliardi per i finanziamenti ai patronati, 300 per le ritenute sulle pensioni, 50 per le quote sulle prestazioni di disoccupazione agricola e 350 dal tesseramento dei lavoratori in attività. A tale cifra vanno aggiunti circa 200 miliardi, il costo sostenuto dallo Stato per i distacchi sindacali. A tutto questo si devono addizionare le somme provenienti dagli italiani ancora convinti che iscriversi ad un sindacato giovi a qualcosa che non siano le finanze del sindacato. La cosa più raccapricciante è che, in tutto questo, il Governo è connivente. Mi sembrerebbe utile un po’ di trasparenza nella gestione di questo potere. Ma non è finita, i Sindacati racimolano altri soldi attraversi i Caaf e i Patronati. I primi “Centri di Assistenza Fiscale”, solitamente, si occupano di presentare la denuncia dei redditi. Molti non sanno che lo Stato rimborsa ad ogni Caaf 14.33 euro a modulo 730 consegnato. A tutto questo, se non vi è ancora bastato, bisogna aggiungere uno sterminato patrimonio immobiliare. Oltre all’aspetto economico un altro aspetto degno di riflessione è la questione dei distacchi e dei permessi sindacali. Molto spesso il sindacalismo, che dovrebbe essere una missione, diventa una convenienza personale proprio per questi privilegi. Per chi percepisce questi distacchi sindacali, con la conseguenza di non prestare più la propria attività lavorativa in azienda, di fatto presta la sua opera in un’associazione privata qual’è il sindacato. Ma inspiegabilmente per tale periodo i contributi ricadano sullo Stato e non sul datore di lavoro. E non è finita qui, sono compresi anche, e vai a capire perché, i premi di produttività e i buoni pasto. Oggi i dipendenti statali dati in omaggio al sindacato sono 3.077 e costano al contribuente (Irap e oneri sociali compresi) 116 milioni di euro. Ai quali vanno sommati 9,2 milioni per 420 mila ore di permessi retribuiti. Di regalo in regalo, per i dipendenti che utilizza l'aspettativa, ai quali deve invece pagare lo stipendio, il sindacato usufruisce comunque di uno sconto: non paga i contributi sociali, che sono considerati figurativi e quindi a carico dell'intera collettività. Un privilegio che hanno perduto perfino le assemblee elettive (a partire dal parlamento). Ma i sindacati no. I sindacati italiani sono una vera e propria macchina di denaro e di potere temuta in primo luogo anche dalla classe politica. Lo Stato consapevole della forza dei sindacati concede privilegi e adula questi allo scopo di stringere un cosiddetto patto di non belligeranza. E’ veramente incredibile e inaccettabile il fatto che il sindacato è l’anticamera della politica. La carriera sindacale sfocia sistematicamente in quella politica. Esempio eclatante Fausto Bertinotti (CGIL) Franco Marini, Cesare Damiano, Rosa Rinaldi(CISL), Antonio Montagnino con un passato alla CISL, Paolo Ferrero (ex delegato Fiom-Cgil,)Franca Donaggio (ex Cgil Trasporti), Sergio D'Antoni (ex numero uno della Cisl),Patrizia Sentinelli (già alla Cgil Scuola),Giampaolo Patta, che viene dalla Cgil, Alfiero Grandi,Titti Di Salvo, Teresa Bellanova, Pietro Marcenaro, Andrea Ranieri, Gianni Pagliarini, Maurizio Zipponi (CISL), Sergio Cofferati, Gaetano Sateriale, Ottaviano Del Turco e mi fermo qui per non dilungarmi ulteriormente. Leggo spesso sindacato di sinistra o di destra quasi come se fosse una cosa normale. L’appartenenza politica diventa quasi un valore aggiunto al sindacato non rendendosi conto che le due cose sono incompatibili. E qui devo tirare in ballo Weber economista, sociologo, filosofo e storico tedesco, considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica amministrazione. Weber si muove all’interno di una filosofia dei valori i cui presupposti sono la distinzione tra essere (Sein) e dover essere (Sollen) e il riconoscimento di una pluralità di sfere dei valori. A differenza della scienza, che ha a che fare coi fatti, la filosofia si occupa dei valori e dei principi. La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che assume a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del rivoluzionario o per l’appunto del sindacalista, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiranno. Si ha invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze. Sicché l’etica dei principi e quella della responsabilità sono due etiche opposte e inconciliabili, che fanno capo a due diversi modi di intendere la politica, come nota Weber. L’etica dei principi è, in definitiva, un’etica apolitica, come è testimoniato dal Cristiano che agisce seguendo i suoi principi e senza chiedersi se il suo agire possa trasformare il mondo. Al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze dell’agire. Sta proprio in questa compenetrazione di questi due tipologie etiche il problema della povertà dell’attuale sindacato.I valori, i principi, l’etica, la morale, sono indissolubili e chi li possiede non può ne soffocarli ne piegarli agli scopi personali. Il sindacalista-politico rischia di compromettere l’oggettività del suo operare, che dovrebbe essere votato all’imparzialità. Non capisco l’utilità’ dei sindacati. Non quelli odierni, almeno. Ma oggi che ruolo hanno? Il loro operato e’ pregno di politica e di raccomandazioni. Favoritismi, pressioni, privilegi, gestioni clientelari, distacchi e permessi sindacali, sono sotto gli occhi di tutti e fanno parte del nostro mondo quotidiano e purtroppo non rappresentano più qualcosa di cui stupirsi. Ognuno di noi può citare esempi del genere. Quando la rappresentanza in azienda si costituisce su queste basi, è il DNA del sindacato a subirne una degenerazione; e la sua missione effettiva viene percepita dalla generalità dei lavoratori non come quella di proteggere i più deboli ma come quella di abbassare il livello minimo dovuto di correttezza e di impegno produttivo. Qui c’è un evidente conflitto d’interessi: il sindacalista dovrebbe, per il proprio buon nome, prima di tutto darsi un codice etico che individui esplicitamente quel possibile conflitto e impedisca il diffondersi del fenomeno. Codice etico e comportamentale che i potenti della categoria si guarderebbero bene dal crearlo. L'etica nel sindacato dovrebbe essere marchiato nella carne dei sindacalisti per i profili umani in cui si muovono a difesa dei più bisognosi: crescono per i bisogni dei lavoratori.
Il vero sindacalista è colui che sposa i problemi non propri, colui che, pur andando contro i propri interessi, si fa da parte a favore dei lavoratori. Il sindacalista è
colui che rappresenta l’imparzialità, colui che si sacrifica per le giuste cause senza risparmiare energie. Sembrerebbe proprio di parlare di una figura che ai giorni d’oggi è anacronistica e proprio per questo suscettibile di ilarità. Il sindacalista dovrebbe essere il primo a lottare e l’ultimo a godere dei benefici conseguenti. Un sindacalista che non si ispira a questa etica non può definirsi sindacalista per definizione, probabilmente: un politico o un affarista questo si, ma per favore non parliamo di sindacato e non offendiamo l'intelligenza dei lavoratori, che possono essere vittime di un sistema politico-sindacali ma non stupidi. Purtroppo gli odierni sindacati rappresentano solo alcuni, ma prendono decisioni che riguardano tutti e gestiscono risorse che appartengono a tutti. Per favore ditemi che ho un incubo e che persone come Salvatore Carnevale, Placido Rizzotto e molte altre ancora non sono mai esistite. Riportare il Sindacato alle originarie ideologie si può, basta volerlo con la consapevolezza della forza della base e con le armi dei valori etici di altruismo e di uguaglianza e con la forza del ragionamento, come alcuni uomini della storia ci hanno insegnato: nulla è impossibile, fra tutti: Gandhi.
Obbligare i sindacalisti a fare i sindacalisti.
CiccioSpena (RSU del Comune di Impiego)

. . . e adesso, volete ancora rimanere nella ciotola a guardare dal basso verso l'alto?








In fondo, ci piove addosso
sempre quello che ci meritiamo.
riflessioni di Filippo Macaluso (RSU del Comune di Palermo)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ce l'ho fatta, l'ho letto tutto!!!
Complimenti Ciccio, anche se capirai bene che non puoi andare in giro tra i nostri colleghi parlando di Weber e di Placido Rizzotto...
Comunque, a proposito di sindacalisti, io penso che non puoi obbligare nessuno a fare un bel niente.
Però una cosa è possibile farla: chiamare le cosa col loro nome!
Chiamare i ladri ladri, i truffatori truffatori, i porci porci...
E gli idealisti che ancora credono in un ideale, uomini veri.
Buon lavoro, Uomo.
Fab

Anonimo ha detto...

Bisognerebbe cambiare le carte in tavola, e precisamente i Sindacati dovrebbero auto finanziarsi ma di contro tutti i lavoratori dovrebbero essere sindacalizzati per legge cosi eviteremmo leggi che permettono ai sindacati di incassare dallo stato, e percentuali di rappresentanza più reali, e chiaro che molti lavoratori non si iscrivono ai sindacati pur simpatizzando per quello o l'altro sindacato, ma se fosse obligato a farlo per legge penso che le percentuali di rappresentanza non possono che essere diverse.
Togliere i finanziamenti statali comporterebbe che i sindacati per poter vivere non possono che fare gli interessi dei lavoratori, perchè se così non fosse lo spostamento di iscritti da una sigla ad un'altra comporterebbe anche la sparizione dello stesso.